Il Gozzo

   

Cenni storico - descrittivi

Con questa denominazione viene erroneamente indicato qualsiasi scafo non pontato avente poppa a cuneo.

Più esattamente, chiamasi gozzo una imbarcazione diffusa prevalentemente nel Mar Ligure e nell'alto Tirreno avente si le due caratteristiche suddette, ma alta di bordo e con notevole cavallino; in contrapposizione alla barca usata in tutto il meridione e nelle isole, più lunga e stretta ma di basso bordo e priva di insellatura prodiera.

Alcuni fanno risalire la sua comparsa sulle spiagge liguri a cavallo dei secoli XVII e XVIII, quando il diminuito pericolo delle incursioni barbaresche incoraggiò le popolazioni locali a dedicarsi alla piccola pesca costiera con imbarcazioni sempre più leggere e manovriere.

Il gozzo ebbe a presentare caratteristiche diverse a seconda dell'ambiente geofisico in cui si trovava ad operare, soprattutto in rapporto al varo e all'alaggio.

Principale elemento di diversificazione fu la forma della prua: dritta, inclinata in avanti (catalana) o all'indietro (cornigiotta).

In spiagge a brusco pendio, in luoghi rocciosi od in ambienti in cui la presenza di approdi riparati non presentasse molte necessità di alaggio, si ebbero, e tuttora sussistono, gozzi a prua dritta o appena leggermente all'infuori, dalle sezioni al galleggiamento piuttosto piene (1).

Adatto a spiagge a brusco pendio, aperte ed esposte alla risacca, era, invece, il gozzo catalano (2), anche oggi assai diffuso, caratterizzato da un'alta prua slanciata verso l'esterno.

 

 

Lungo le spiagge sabbiose e a lento declivio che si vennero progressivamente creando, si rese consigliabile l'adozione di barche che permettessero una immediata spinta al galleggiamento durante il varo, ad evitare il pericolo di restare imprigionate nella sabbia. Si ebbe così il gozzo cornigiotto, con ruota inscritta in un angolo acuto di quasi 45°, cui si accompagnava la poppa stellatissima, fine e rientrante, dalla ruota anch'essa inclinata all'indietro.

 

 

 

Gozzo "cornigiotto" con prua ad andamento curvilineo (tipo arcaico).

 

Gozzo "cornigiotto" con prua ad andamento rettilineo (fine Sec. XIX).

 

                                                                                             

 

Costruito prevalentemente per la propulsione remica, nondimeno il gozzo armava ed arma spesso la vela.

La vela latina era spessissimo usata per i gozzi alla cornigiotta, la cui prua essendo pesante non si alza facilmente sull'onda nel movimento di beccheggio e consente alla barca di restare nel letto del vento, dandole una tendenza orziera, esaltata dalla poppa fine e rientrante che rende lo scafo sensibile all'azione del timone. La vela viene inferita ad un'antenna issata diagonalmente, a mezzo di una trozza fissata alla metà circa della sua lunghezza, ad un corto albero verticale munito di cavatoio in testa per il passaggio della drizza e rizzato a proravia della sezione maestra. Spesso quest'armatura è integrata da un'asta di fiocco, sporgente orizzontalmente da prua a dritta della pernaccia, che spiega un grande fiocco detto polaccone.

Per i gozzi a prua dritta o a prua catalana era molto in uso fino a pochi decenni fa la vela alla portoghese, un tipo di aurica, inferita ad una lunga antenna ed issata per una trozza passante posta ad un quarto circa della sua lunghezza, ad un corto albero verticale rizzato molto a proravia. La ritenuta dell'antenna viene data volta ad un anello fissato all'interno della controruota e la vela viene tesata con la mura alla stessa castagnola usata per la drizza. Vela per sua natura orziera, essendo molto impennata, prende il vento dall'alto e usufruisce bene delle spinte date dalla prora inclinata in avanti, che taglia l'acqua offrendo scarsa resistenza. L'eventuale tendenza allo scarroccio viene corretta dal timone che prolungandosi oltre la chiglia, funge anche da deriva.

Con ogni tipo di vela le manovre erano ridotte al minimo, perché il tutto, albero, antenna, vela, ecc., doveva poter essere ghindato o sghindato con estrema rapidità e semplicità, e non doveva ingombrare in coperta e lasciare spazio per la voga.

Il gozzo può usufruire della propulsione a motore nelle due versioni di fuoribordo ed entrobordo. In entrambi i casi sono sempre montati motori di piccola potenza, perché essendo una barca dalla carena tonda, la velocità dipende esclusivamente dalla forma, e la potenza eccedente non sortirebbe altro effetto se non quello di sottoporre lo scafo ad inutili e dannose sollecitazioni.

Il motore fuoribordo viene montato ad un "tacco" di legno posto esternamente al dritto di poppa e fissato tramite un perno passante per la femminella superiore e a due robuste staffe laterali di metallo applicate ai bordi. Questo tipo di propulsione può essere applicato a qualsiasi tipo di gozzo, senza che si renda necessaria alcuna modifica allo scafo.

Per la propulsione a motore entrobordo il gozzo viene espressamente costruito con particolari accorgimenti che ne modificano sostanzialmente la linea. Le sezioni della prua diventano molto svasate al galleggiamento, in modo che tagli l'acqua come un coltello e la rovesci ai lati, ottenendo così una notevole spinta in avanti. La poppa al contrario ha bisogno di essere pesante e piena in modo che l'elica possa sempre essere immersa.

 

Note costruttive

 Il gozzo viene costruito ad occhio, con il solo ausilio dell'esperienza e della pratica acquisita attraverso generazioni.

Una volta tracciato il garbo della mezza sezione maestra, tutto il resto viene realizzato secondo regole mai scritte, ma che vengono applicate operando quelle modifiche suggerite dall'ambiente in cui la barca si troverà ad operare e dall'uso cui dovrà servire, certamente ricordando che il rapporto ottimale del gozzo tra lunghezza e larghezza si trova tra 2,5/1 e 3/1.

 

 

 

 

Su uno scaletto formato da un'asse fissata su due o tre cavalletti, si poggia per prima la chiglia, a cui vanno legati ad incastro mediante incollatura marina i dritti di prua e di poppa. Sui dritti e sulla chiglia viene poi praticata un'apposita scanalatura detta battura che serve ad appoggiarvi la testa del fasciame. All'interno dei dritti ed all'estremità della chiglia, per meglio legare il tutto, vengono sistemate le controruote e i controdritti.

A questo punto si procede alla messa in opera della sezione maestra, e cioè di una o più ordinate realizzate sul garbo preventivamente tracciato.

Tutte le ordinate sono in tre pezzi: il centrale chiamato madiero che avvitato alla chiglia diviene parte integrante della carena, cui scendono ad incrociarsi i due staminali laterali che, uno per banda, diverranno sostegno al fasciame delle fiancate. Essi sono uniti al madiere mediante incollatura marina e traversini in rame ribattuti.

Dopo le coste della sezione maestra, vengono fissati i quarti. I quarti sono due e si trovano tra la poppa e la maestra, e tra questa e la prua; si tratta in sostanza di ordinate opportunamente sagomate, e poste in punti predeterminati dello scafo, atte a stabilirne la linea dei fianchi, mediante le forme. Sono queste delle liste di legno sottile e non molto flessibile poste longitudinalmente, piantate leggermente a diverse altezze, simmetricamente da una parte e dall'altra, tra le due estremità dello scafo.

Quindi vengono messe in opera tutte le altre ordinate.

Segue la collocazione della prima tavola del fasciame, dal basso, chiamato torello, che va unito alla chiglia e viene incastrato alle estremità nella battura dei dritti.

Vengono quindi montate le prime due tavole dall'alto, chiamate cinte, che delimitano la linea dell'orlo superiore dello scafo. All'interno vengono collocati i correnti longitudinali a sostegno dei banchi, altrimenti detti serrette, che si arrestano in corrispondenza del primo baglio dei palchetti di prua e di poppa, e a questo sono collegati con braccioli. I banchi, preventivamente curvati a vapore e rastremati, vengono montati di modo che le loro teste restino incastrate almeno ad una ordinata.

Viene così ottenuta l'ossatura completa dello scafo, che è pronto a ricevere le assi del fasciame.

E' questa una delicatissima operazione, che andrebbe eseguita in condizioni meteorologiche adatte, quando la luna e il vento siano propizi, affinché il legno non abbia ad "impazzire"!

Iniziando dal basso, al torello viene accostato il controtorello che sarà opportunamente rastremato, così come tutti i corsi che seguono, i quali verranno messi in opera sia saltandone alcuni in posizioni particolari, oppure alternati, uno si e uno no. Le tavole saltate vengono chiamate imboni e hanno la funzione di sforzare l'una contro l'altra tutte le tavole precedenti.

Le assi del fasciame vengono costantemente bagnate mentre vengono esposte al fuoco dal lato interno, e sforzate sino a che si ottenga approssimativamente la piegatura che si desidera. Quando il legno, caldo, è divenuto cedevole, lo si mette in opera con sveltezza tenendolo con morsetti; quando la tavola raffreddata ha conseguito la piega si ripeterà l'operazione all'estremità opposta.

Ogni corso così approssimativamente piegato viene montato a cominciare da poppa, fermato e costretto alle ordinate con morsetti procedendo verso prua, quindi inserito nella battura prodiera e aiutato all'allineamento con il corso precedente mediante leggeri colpi di martello; il fasciame è fissato alle controruote con viti di ottone e inchiodato alle coste con chiodi di rame.

A fasciame ultimato vengono messi in opera i bordi che completano la struttura, composti normalmente di due o tre pezzi per banda ed hanno sezione ad L nel cui lato inferiore sono incastrate le estremità degli staminali. Sono uniti tra loro con incastri a palella ed alle estremità sono raccordati dalle ghirlande.

Così ultimato lo scafo viene tolto dallo scalo di costruzione e viene accuratamente piallato. Si passa quindi al calafataggio che avviene costringendo del cavetto di cotone tra tutti i comenti del fasciame e fra le teste dei corsi alle estremità con un apposito ferro dalla punta piatta e ribattendo con la martellina in legno chiamata mazza.

Vengono quindi messe in opera in carena le alette parziali di rollio, chiamate scue che sono saldamente fissate con perni passanti ai madieri.

Posto il tavolato ai carabottini e preparati i paglioli, si può procedere alla pitturazione, previa accurata stuccatura e una tinta di base mista ad olio di lino cotto, atto a ingrassare il legno.

Oggi ormai generalizzato è un sistema di costruzione alternativo, che consente di realizzare imbarcazioni altrettanto robuste ma più leggere, e con notevole economia di tempo e di materiale: prevede ordinate flessibili, ottenute da liste di legno duro, solitamente acacia, piegate a vapore, anziché le tradizionali, composte di tre pezzi di curvami naturali.

 

 

Le ordinate della sezione poppiera: si notino le linee quartierate, e l'alloggiamento per l'asse dell'elica.

 

 

Elenco dei legni adoperati oggigiorno e nel passato per la costruzione del gozzo ligure

 

Chiglia e dritti: rovere e a volte frassino
Costole: rovere, frassino, olmo, acacia
Fasciame: pino
Cinte: rovere, teack, mogano
Dormienti e serrette: pino
Bordo: frassino, rovere
Carabottino e banchi: pino, ma talvolta viene usato il teack o il mogano
Braccioli: frassino, ulivo, radica di noce
Ghirlande: frassino, ulivo, radica di noce
Albero: pino
Antenne e pennoni: abete
Remi: faggio

 

immagine dal libro  GOZZO GENOIS & BARQUETTE MARSEILLAISE (MEDPATRIMOIN Marseille Genova)

 

 

La Pesca

L'attività più comune praticata dai gozzi, oggi e nel passato, è quella della pesca.

Bisogna segnalare vari tipi di pesca, divisi in quattro gruppi principali, praticati di volta in volta secondo le necessità.

Nel primo gruppo abbiamo la pesca con l'amo, ossia con la canna, col bolentino, coi palamiti e con le lenze morte.

Nel secondo gruppo abbiamo i tipi di pesca praticata con le reti, siano queste le menaidi, le bogare, i tremagli, la sciabica e la lampara.

Nel terzo gruppo abbiamo la pesca praticata con le nasse.

Nel quarto e ultimo gruppo abbiamo la pesca con la fiocina.

Tra tutti i tipi di pesca, la più redditizia è certamente quella praticata con le reti.

Le reti, a loro volta, possono essere divise in due gruppi, ossia reti da posta e reti da circuizione.

Le reti da posta sono le menaidi, i tremagli e le bogare e si caratterizzano perché formano nel mare una barriera nella quale va ad impigliare il pesce di passaggio.

Le reti di circuizione, come dice lo stesso nome, circondano il banco di pesce e si richiudono su questo prima di essere recuperate. Queste ultime reti sono la sciabica e la lampara.

Esistono altri tipi di pesca con le reti quali la tonnara e le reti a strascico, ma essi, di norma, non sono praticati coi gozzi.

 

Bibliografia:

 

 

Glossario:

Alaggio: manovra per portare un natante all'asciutto

Antenna: lunga asta di legno, alzata obliquamente sull'albero, portante vele latine

Baglio: grossa trave di legno, acciaio o ferro, posta a traverso della nave nel senso della larghezza, per sostenere i ponti

Banco: sedile lungo e stretto

Battura: scanalatura praticata sui dritti e sulla chiglia che serve ad appoggiarvi la testa dei vari corsi del fasciame

Bogara: rete da pesca per le boghe (pesce commestibile dei Perciformi, dal corpo allungato ricoperto di squame sottili, grigie dorsalmente e bianche sul ventre)

Bolentino: lenza a mano per pesca sul fondo, specialmente in mare, con grosso piombo terminale e più ami

Bracciolo: angolare di rinforzo per il fissaggio dei bagli alle costole

Carabottino: grate per i boccaporti

Castagnola: tacchetto a cuneo inchiodato soprattutto su aste e alberi per impedire lo scivolamento di incappelaggi o altre guarniture

Cavatoio: foro rettangolare aperto in un asta, in un albero o nella cassa di un bozzello, nel quale ruota una puleggia

Cinte: dall'alto, le prime due tavole di fasciame che delimitano la linea dell'orlo superiore dello scafo

Comento: spazio tra un corso di fasciame e l'altro

Controtorello: dal basso, tavola di fasciame, opportunamente rastremata, accostata al torello

Dare volta: fermare la vetta di una manovra passandola a colli incrociati, o a volte, su una caviglia o su una galloccia

Deriva: piano longitudinale che prolunga la chiglia di piccoli velieri per aumentarne la stabilità

Drizza: cavo per alzare pennoni, vele

Forme: liste di legno sottile e non molto flessibile poste longitudinalmente, piantate leggermente a diverse altezze, simmetricamente da una parte e dall'altra, tra le due estremità dello scafo

Garbo: curvatura delle ordinate

Ghindare: issare a riva gli alberi di gabbia e di velaccio per mezzo di un cavabuono

Ghirlanda: pezzo d'ossatura della prora, detto anche gola o gioia

Imbone: le tavole del fasciame che vengono saltate e che hanno la funzione di sforzare l'una contro l'altra tutte le tavole precedenti.

Inferire: legare le vele ai pennoni, alle antenne

Lampara: grande lampada fornita di luce molto intensa, usata per pescare di notte alcune specie di pesci. Termine esteso anche ad indicare l'imbarcazione e la rete impiegate in tale tipo di pesca

Madiere: ciascuno dei pezzi di costruzione che, piantati di traverso sulla chiglia dell'imbarcazione, formano la prima base e il primo innesto di tutte le coste

Menaidi: tipo di reti da posta

Mura: ciascuno dei cavi che servono a tesare verso prora gli angoli inferiori delle vele quadre maggiori per orientarle in modo da costringere il vento

Nassa: cesto di giunco, vimini o rete metallica, di forma conica, chiusa a un'estremità e con imboccatura a imbuto, da cui il pesce entra e non può uscire

Orzare: spostare la prora nella direzione da cui proviene il vento

Pagliolo: pavimento di tavole o lamiere che copre il fondo di un'imbarcazione o il fondo delle stive

Palamito: attrezzo da pesca costituito da una lunga corda cui sono attaccate cordicelle terminanti con un amo

Pernaccia: la parte svettante, al di sopra della frisata o falchetta del dritto di prua

Polaccone: grande fiocco

Quarti: si tratta in sostanza di ordinate opportunamente sagomate, e poste in punti predeterminati dello scafo in modo da stabilirne la linea dei fianchi

Ritenuta: manovre correnti di trattenimento

Rizzare: mettere, alzare in modo che stia ritto

Scarroccio: moto di un natante che va un po' di traverso rispetto alla chiglia

Sciabica: rete a strascico per piccole profondità, costituita da due ali e un sacco a maglie diverse

Serrette: travicelli quadrangolari longitudinali a sostegno dei banchi

Staminale: parte bassa-esterna dell'ordinata

Torello: dal basso, la prima tavola del fasciame che va unito alla chiglia e viene incastrato alle estremità nella battura dei dritti

Tremagli: tipo di reti da posta

Trozza: collare formato da più giri di cavo per tenere aderenti pennoni e antenne

  

 Ringrazio i vari siti di gozzi per le foto inserite